Votes taken by Kiria93

  1. .
    Seguii per un istante lo sguardo di Walter, rivolto verso una delle ragazzine - sebbene non ebbi tempo per intuire quale. Finsi di non averlo notato.

    Walter doveva aver ricordato o sentirsi male per qualcosa che aveva ingerito. In entrambi i casi ne ero sollevata.
    "Umh... Kiria, ti va qualcosa da mangiare? Ho un po' di tutto e Tsuki fa delle crêpes da dio, se le dai il tempo di prepararle."
    Sorrisi sincera a Kichi, analizzando rapidamente la quantità di roba che aveva portato con sé, chiedendomi se fosse quello il consueto set di prodotti da portare in spiaggia. Io, armata di solo cappellino protettivo per il sole e indumento copricostume, ero sicuramente eccessivamente sprovvista di qualunque cosa potesse tornare utile, persino un bastone per picchiare Walter.
    Va bene qualunque cosa, ti ringrazio.
    Ero stata educata a non chiedere (anche perché non avevo mai pranzato o cenato da sconosciuti durante gli anni dell'educazione) tantomeno a rifiutare quanto mi venisse offerto. Questa educazione mi era già costata un bicchiere di latte suporifero, ma speravo che almeno con Kichi potessi abbassare la guardia sugli alimenti che mi venivano offerti.
    Kichi poi si spostò, liberando dello spazio sul suo telo. Calcolai rapidamente la distanza che ci sarebbe stata tra lei e me nel caso in cui mi fossi seduta lì: troppo poca per una conoscente ma sufficiente ad evitare qualunque contatto fisico tra noi. Ero soddisfatta: dovevo sembrare finalmente normale e decisamente meno malata, apparenza su cui non avrei mai potuto contare durante i primi mesi a Suna.
    Dopo un segno di ringraziamento col capo, presi posto al suo fianco, ponendo estrema attenzione ad ogni movimento affinché non vi fossero contatti improvvisi. Kichi, nel mentre, prese a presentarmi le persone che erano lì.
    Kichi doveva essere ricca. Non benestante come me prima di uccidere il membro benestante della famiglia, ma ricca come quelli che raramente vedevo in tv. Aveva un maggiordomo e una cameriera al mare, che subito la mente andò ad appuntare nell'elenco di cose da portare quando si va in spiaggia: ombrellone, telo, bevande, maggiordomo, cameriera.
    Compagnia per la sorella di Walter, che ora continuava a giocare mentre quest'ultimo le accarezzava i capelli.
    Ehm... Kiria?
    Gli sorrisi.
    Ricordi il mio nome dopo averlo sentito: spero non sia stato uno sforzo eccessivo per la tua memoria.
    Sebbene volessi sforzarmi di avere un tono sarcastico, fui capace solo di un tono serioso.
    Non credo esisterà mai un nostro incontro che inizi senza che io in qualche modo ti offenda... e immagino che stavolta non ci sia scultura di ghiaccio che tenga per farmi perdonare. Se però posso ancora permettermi di chiederti qualcosa...

    Sperai non volesse la sua fottutissima (non si dicono queste parole!) statuetta indietro. Non sarei andata mai, mai, a Konoha nella casa del mio defunto fratello rischiando la vita per prendergli la sua stupida statuetta. Ad irritarmi era il fatto che, oltretutto, mi mancava tanto.
    Fa che sia rapido, indolore e non visibile da mia sorella.
    Lo fissai per un istante, gelida. Com'è teatrale.
    "Che tragico. Non conosco i dettagli, ma non penso che possa essere qualcosa di così grave. Mica le hai fatto credere di essere morto sparendo nel nulla! Ecco, quella sarebbe una mossa da gran bastardo!"
    La mia voce riprese subito dopo quella di Kichi. Speravo che la sua risposta mi desse il tempo di trovare contegno, ma così non fu.
    Per chi mi hai preso? Ti sei finto morto. Ti sei finto morto anche quando Akira lo è stato davvero e io non lo sapevo. Quando Drey è venuto a prendermi e mi ha detto di te...
    Mi fermai: la voce mi tremava, e perdere il controllo di fronte a persone che conoscevo poco decisamente non mi piaceva. Inghiottii tutto: risentimenti, sensazioni, ricordi.
    L'incontro con Drey nella Foresta della Morte mi costrinse a ricordare di quanto stessi bene in quel momento. Durava poco, ma stavo bene.
    Va tutto bene. Nessun rancore. L'importante è che tu stia bene.
    Come una mina disinnescata, il tono tornò neutrale, le parole erano false e di circostanza ma dette con convinzione. Come tutto, come sempre.
    Addentai un minuscolo pezzo di takoyaki e, poiché lo stomaco si era stretto di nuovo in una morsa incapace di accettare cibo, riuscii a tirarlo giù con del succo.
    Grazie mille Kichi, è delizioso.
  2. .
    Zen -questo era il nome del ragazzo - iniziò a piacermi di più quando decise di non seguirmi.
    Uno dei due cognomi con cui si era presentato mi era già noto: lo scontro con Kichi era stato tanto recente quanto intenso, lasciando impresso nella mente la sua anagrafica, quasi fosse scolpita nella memoria.
    Mi chiesi per la prima volta se anche quello fosse un cognome diffuso in tutto il mondo, un segno distintivo che pronunciato doveva lasciar intuire qualcosa dell'interlocutore, un po' come avveniva per l'associazione Uchiha-nonguardarlonegliocchi (o Uchiha-bastardo, che nella mia testa suonava ancora più coerente).
    Forse era sposato. I due cognomi non erano qualcosa che si ereditava con il matrimonio?
    Mi appuntai di chiederglielo semmai fossimo entrati abbastanza in confidenza, realtà che avevo reso abbastanza improbabile con il mio comportamento scontroso. Del resto, tuttavia, aveva iniziato lui con quel suo aspetto così evocativo.

    Individuai Zen tra la folla grazie al suo gesto di mano, i piedi che facevano affidamento alle sole punte per permettermi di guadagnare quei pochi, preziosi centimetri in grado di permettermi di emergere tra la folla.
    Salimmo in silenzio sulla nave, silenzio che non ero in grado di rompere: sapevo che era opportuno approfondire la sua conoscenza, apprenderne rapidamente i punti di forza e i punti di debolezza per sfruttarli in un eventuale scontro. E lo stesso avrei dovuto fare io, rivelargli sbrigativamente cosa sapessi fare (e cosa decisamente non potevo fare). La consapevolezza, tuttavia, non riusciva a scogliere il nodo che avevo alla gola, un complesso intreccio di sensi di colpa e ricordi sbiaditi.
    Per fortuna fu lui a prender parola, e di nuovo provai gratidudine.
    Quindi sei una spadaccina! Io punto sulle armi più leggere, ma il mio punto di forze sono i ninjutsu. Ho imparato a temere gente che impugna una spada...-
    Osservai per un istante la spada con leggera incredulità, quasi mi domandassi cosa dell'arma gli facesse supporre io fossi brava ad utilizzarla. La sua era un'osservazione giusta, la mia un'incredulità stupida.
    Sorrisi di rimando alla sua ultima frase, un sorriso che pareva estremamente spontaneo ma che in realtà era la risultante di un'analisi di reazione corretta alla sua frase. Il pensiero andò nuovamente a Kichi: lei sì che era da temere armata di spada.
    Anche io, in effetti.
    Dissi questa frase con il sorriso sul volto, intenzionata a non voler far sembrare le mie parole una minaccia. Rimuginai sulle parole giuste da dire, il tono giusto da usare, l'espressione facciale che meglio accompagnava le domande che avrei voluto fare: ora che aveva parlato, la somiglianza con mio fratello si era assottigliata fino a sparire, il nodo in gola definitivamente sciolto.
    Zen, privo evidentemente di modi di fare costruiti a tavolino, fu più rapido di me nel porre domande.
    Abbiamo un po' di tempo per le mani... sarebbe bene conoscerci per poter combattere un po' meglio... io ad esempio sono bravo nel supporto, e ho un paio di bei trucchetti--anche se credo che un Uchiha mi superi in ogniuno di questi campi!
    Mi sarei guardata intorno: la nave era piena di persone che non avevo mai visto in giro per Suna, e all'apparenza erano tutte squadre ninja, inclusi gli ultimi individui che si accingevano ora a salire sull'imbracazione.
    Gli sorrisi, instaurando poi una comunicazione telepatica.
    Hai ragione, è un'ottima idea. Grazie per aver condiviso queste informazioni con me. Io non riesco a fare lo stesso ad alta voce poiché ci sono troppe persone, quindi ti chiedo scusa se comunico le mie abilità con te in questo modo.
    Se Zen non avesse mostrato dubbi o perplessità a riguardo, sarei andata avanti, scoprendo anch'io le carte. Il fatto che lui volesse supportare nel combattimento implicava inevitabilmente che avrei fatto io da supportata. Tuttavia, l'entusiasmo del ragazzo era così travolgente che non mi andava di dirgli qualcosa del tipo "scusami ma non sono la persona ideale da supportare", per cui mi sarei limitata ad adattarmi al suo stile.
    La tua deduzione sulla katana è corretta, ma in realtà è una bugia, ed è proprio questo che so fare meglio: gestire le illusioni. Per il resto sono una discreta combattente a distanza, ma posso tranquillamente gestire combattimenti ravvicinati con un buon supporto... e una katana.
    Bugia.
    Odiavo i combattimenti ravvicinati, mi faceva ribrezzo solo l'idea di un combattimento ravvicinato. La mia, però, era una bugia innocente: volevo semplicemente adattarmi al suo piano, mostrarmi capace. Del resto, mi aveva già sopravvalutata per il solo cognome, mostrarmi fragile avrebbe implicato infangare l'onore di una famiglia che detestavo. Forse era per questo che, dopotutto, non m'importava se mi fossi fatta male a causa di parole pesate male.
    Ben vi sta, palloni gonfiati.
    Hai qualche abilità innata? Io sono un Uchiha qualunque, illusioni, fuoco di colori diversi e occhi che nessuno vuole mai guardare: nulla di diverso da qualunque Uchiha che tu ti sia trovato ad incontrare. Il mio secondo elemento è il raiton. Il tuo?
    CITAZIONE
    Specializzazione genjutsu lv.6
    --Telepatia: ad una distanza massima di 10 metri sarà possibile comunicare telepaticamente con un'altra persona. Il contatto sarà a senso unico. Consumo: 5 a turno.


    Una volta finito l'interrogatorio propedeudico ad un eventuale scontro, feci un lungo sospiro.
    Scusa per prima: sono stata... fredda.
    Non mi ero mai scusata per esser stata fredda. E non seppi neanche se quello era l'agettivo adatto per cui scusarmi: in realtà avrei voluto dire "inadatta", ma questo mi avrebbe potuta far apparire stramba agli occhi di Zen, quindi scelsi un aggettivo meno fraintendibile. Mi dissi poi che sarei stata più perdonabile se gli avessi quantomeno accennato il motivo del mio comportamento: entrare nelle grazie di colui che avrebbe dovuto supportarmi mi sembrò prioritario.
    Mi hai ricordato una persona e ne ero... infastidita.

    Una volta approfondita la conoscenza di Zen - mai con troppo coinvolgimento, poiché la mia fiducia in lui era legata alla sola missione - mi guardai nuovamente intorno.
    Chiediamo informazioni sul Paese del Collo? Io non ci sono mai stata.
  3. .
    Benvenuto!
  4. .
    qui Game of Thrones, motto della casata delle isole di Ferro o qualcosa del genere.
  5. .
    Sapevo che non avrei potuto evitarlo.
    Quando ti parlano di una guerra, la morte è il primo pensiero che nasce, ma si tratta di un pensiero, di una fine astratta. Si tratta della figura incappucciata, avvolta nel suo manto nero che pone fine alla vita degli uomini.
    Avevo sperato con tutta me stessa di avere compiti di supporto, di restare lontana dal campo di battaglia, lontana da quelli che sarebbero divenuti cimiteri dei tanti che si trovavano coinvolti, eppure ero troppo matura per credere davvero di poter evitare quel momento, e nonostante ciò non ero pronta: io le persone morte non volevo vederle.
    Non mi aspettavo di ritrovare cadaveri già all'ingresso, e provai il bisogno di vomitare, la necessità di tirar fuori liquidi e residui di cibo nella quale galleggiassero anche ricordi di quelle immagini. La cosa indubbiamente più rivoltante era l'odore di carne bruciata che ricordava vagamente quello di qualche animale arrostito (e di nuovo il bisogno di vomitare si fece irrefrenabile). Non potevo permettermi di ignorarli, tenere lo sguardo basso e andare avanti poiché delle vite -vite di persone a cui tenevo- dipendevano da me. E allora vidi chiaramente i corpi carbonizzati, uno dei quali privo di una gamba (che avrei notato un paio di metri dopo, al fianco di un uomo esanime dal cui petto fuoriusciva una trave appuntita, sangue scuro ancora fresco a colorargli il volto all'altezza delle labbra).
    Chiusi gli occhi per un secondo, cercando sollievo nell'oscurità di un momento, ma prontamente il cervello punì la mia mania per i dettagli con una proiezione di quei cadaveri ormai impressi nella mia memoria.
    Non avrei più dormito per un po', ne ero sicura, complice il pungente odore di vite stroncate.
    Camminando, posai lo sguardo su un bancone, assistendo così ad una scena piuttosto singolare: vi erano quattro cadaveri di infermieri sistemati con una attenzione disumana lungo il bancone, trafitti accuratamente da lance .
    Non aveva senso.
    Perché disporre i cadaveri con tale ordine?
    Soprattutto, come mai vi era un tale numero di morti? A quanto avevo avuto modo di capire, chi governava Yuki godeva delle simpatie solo di pochissime persone e rigorosamente ricche. Tutti gli infermieri erano sostenitori dell'attuale forma di governo?
    Non riuscivo a non pensare che mi trovassi di fronte ad una sorta di rituale. E mi ripetevo di star lontana da quei cadaveri, che avrei potuto vomitare da un momento all'alto e che avrei sicuramente pianto.
    Soprattutto, mi ripetevo che Kenshi, da qualche parte, era solo e privo di sostegno, ed era una mia responsabilità garantire restasse in vita. Sapevo perfettamente dove trovarlo: era una persona che badava all'azione, senza perder tempo ad analizzare dettagli: se le sue intenzioni erano andare avanti nell'edificio, era verso le scale che l'avremmo trovato.
    Eppure non potevo tralasciare quella sorta di quei altare di quattro morti, ancora ossessionata dal modo da burattino con cui il ragazzo, insieme a coloro i quali erano sul tetto, erano soliti comportarsi.
    "Prima Kenshi, poi i miei dubbi".
    "Dobbiamo trovare le scale".
    Avrei prima cercato lungo le pareti una sorta di cartina (di quelle tipiche degli edifici pubblici) che potesse indicarmi dove trovare le scale. Questi erano dettagli che probabilmente Kenshi non avrebbe cercato, puntando su una più pratica quanto dispendiosa ricerca delle scale. Se l'avessi trovata, avrei invitato con un gesto il mio gruppo a seguirmi verso le scale, altrimenti avrei cercato semplicemente la via giusta. Ad ogni modo, avrei sguainato la katana per poi far rumori che avrebbero probabilmente rimbombato nel silenzio del primo piano, sperando che Kenshi potesse sentirli.
    Era un guerriero: se ci avesse sentito, sarebbe venuto anche solo mosso dall'istinto di liberarsi del nemico.

  6. .
    Dunque sono queste le forze che mi hanno mandato i miei alleati? Una bambina e un mostro multibraccia? Spero che davvero le apparenze ingannino, perché altrimenti la situazione non è delle più rosee.
    A quelle parole aggrottai le sopracciglia: quell'uomo era nei guai fino al collo e aveva addirittura coraggio di lamentarsi dei propri sottoposti, giudicando dalle mere apparenze. Per quanto ne poteva sapere, loro due potevano essere i migliori ninja del mondo e lui aveva appena colto un'occasione per insultarli, creando -almeno in me- un senso di ulteriore sfiducia verso la mia missione: che cosa ci facevo lì? Era per quell'uomo che dovevo uccidere? Un uomo che aveva appena offeso me e un mio amico?
    La diplomazia è troppe volte sottovalutata.
    Per quanto deboli possiate sembrare siete i miei alleati, siete venuti qui rischiare la vostra vita non solo per i vostri paesi, ma anche per me, è giusto che sappiate come stanno realmente le cose. Avvicinatevi adesso.
    Fu davvero difficile non ridergli in faccia, e il mio desiderio di ridere -l'impulso prorompente di sfogare la frustrazione in una risata- mi suggerì che ero sull'orlo di una crisi di nervi. Riuscii mio malgrado a fingere una certa indifferenza, evitando con tutta me stessa lo sguardo di Riutja: condividere quel momento, quel momento in cui avevo espresso la mia debolezza, mi faceva sentire a disagio, come se fossi improvvisamente nuda. M'importava molto più di lui che di tutta quella storia della guerra e degli eventi ad essa connessi, ma forse era un vano tentativo del mio cervello di difendermi da quanto avrei inevitabilmente dovuto fare di lì a breve.
    Mi incamminai verso l'uomo per osservare la mappa, quando il rumore dell'aprirsi della porta alle mie spalle mi fece sobbalzare -forse perché ero ipertesa, forse perché stavo cedendo a quel mix mortale di responsabilità e paura-, e un nuovo bisogno di ridere nacque in me.
    Ridere di me stessa, della convinzione con la quale mi ero trasformata in uno strumento nelle mani di un uomo che né conoscevo, né sopportavo. E ci pensate? Sarei potuta morire per lui, destinargli la mia vita come la più fedele pedina.
    Kenshi, finalmente sei arrivato, la carovana che ti ho ordinato di scortare è giunta a destinazione?
    Fissai il ragazzo avvicinarsi con un'espressione che non riusciva più a mutare: mi sentivo pesante, incapace di esprimermi attraverso qualsiasi espressione del volto, e così non c'era altro che un contenitore vuoto ad accogliere il nuovo entrante. Quanto vorrei avergli potuto sorridere.
    Bene, fortunatamente siete tutti qui, quindi posso spiegarvi tutto senza giri di parole. I ribelli hanno attaccato di mattina presto, sfondando la porta principale e assaltando nello stesso istante anche quella secondaria, le forze a me fedeli sono riuscite ad arrestare la loro avanzata più o meno in corrispondenza della linea rossa, tuttavia hanno conquistato alcune punti di vitale importanza. Voglio che voi tre raggiungiate il punto d'incontro situato qui, i miei soldati si stanno ammassando in vari punti per iniziare la riconquista di ciò che è nostro di diritto, qui avevo in mente di assegnare sia te, bambina Uchiha, che te, ragnetto, tuttavia l'arrivo di Kenshi è esattamente quello di cui avevo bisogno. Lui verrà con voi e vi fornirà supporto al meglio delle sue capacità; Kenshi, non farmi pentire di averti dato la possibilità di servire Yuki. Uchiha.
    Cominciai a memorizzare senza troppe difficoltà, come ero solita fare, tutte le informazioni. Il sentirmi chiamare bambina Uchiha o quell'odioso nomignolo dato a Rutja, questa volta, mi lasciarono indifferente, e interpretai quella risposta come un segnale di ripresa da parte della mia psiche: mi stavo abituando al mio ruolo e alla bassa considerazione che aveva di noi. Inoltre eravamo in guerra, poteva morire anche lui ucciso da qualcuno mentre loro erano chissà dove a far del male gratuito a persone che lottavano perché legate ad un ideale.
    Ironico come, nonostante credessi fermamente che quello non era il mio posto, dovessi far del male a coloro i quali lottavano per qualcosa che reputavano giusto.
    In guerra e dal lato dei cattivi.
    "Uchiha, ascolta un po' che vuole questo deficiente" mi rimproverai, alzando lo sguardo per guardare l'uomo che mi stava parlando. Sostenei il suo sguardo senza troppe difficoltà: Deichi faceva più paura e quel tizio non me ne incuteva alcuna. Provavo un profondo senso di ribrezzo verso la sua determinazione, quel fare da superiore quando non c'è nulla di superiore nel dover ricorrere ad alleati -ritenuti pe di più poco valide- per la propria guerra.
    Poteva essere forte e credersi superiore, ma preso da solo era un pesce piccolo sopraffatto dal numero.
    Che pena.
    Tu hai il grado più alto, quindi si presuppone che tu sia più forte qui, ti assegno il comando degli altri due fino a che non giungerete al punto di incontro e incontrerete i miei inviati, fino ad allora Kenshi e il ragno eseguiranno i tuoi ordini come se fossero i miei. Sono stato sufficientemente chiaro?
    Rimasi sbigottita. Questo emerito cazzone (sì, avevo pensato ad una brutta parola e l'avevo pensata con tutta me stessa a tal punto da sentire ogni fibra del mio corpo urlargli silenziosamente cazzone) aveva impiegato il suo inutile tempo a lamentarsi di quanto fossi piccola e di quanto i suoi alleati fossero deboli e ora affidava il comando durante una guerra a una bambina?
    Hai il grado più alto.
    FREGACAZZI (un'altra brutta brutta parola, Deichi mi avrebbe punita aspramente se avesse saputo i miei pensieri in quel momento).
    Più di un chunin, ero una dodicenne. Una dodicenne, dannazione!
    Potevo ordinare al mio pupazzo di vegliare su di me la notte, o a mio fratello di non andare in cucina qualora fosse stato bagnato il pavimento. Queste decisioni erano decisamente alla mia portata.
    Decidere le sorti di ben tre vite in un evento come la guerra non era una cosa da dodicenni, neanche da dodicenni chunin!
    A Rutja non piaceva dare ordini, ma Kenshi, lui era degno di stare al comando! Lo ricordava abbastanza passivo nelle decisioni, ma aveva sicuramente un'esperienza e una freddezza tale da poter analizzare la situazione con maggiore lucidità.
    Io non potevo. Non potevo.
    Se fossero morti... se fossimo morti per una mia incompetenza?
    Allungai la mano per prendere l'oggetto senza curarmi di cosa si trattasse, per poi rimanere come pietrificata. Uscire da quel palazzo avrebbe dato via alla nostra condanna, reso reale quelli che fino a quel momento erano stati solo gli incubi che avevano alimentato le mie paure.
    Quando uscii dal palazzo, mi sentii avvolta dal freddo e dalla morte che di lì a pochi metri regnava incontrastata. Ero come pietrificata da quella situazione, dal gelo che mi circondava in contrasto con il continuo pulsare di responsabilità e sensi di colpa.
    Fu il gridare di una delle guardie a risvegliarmi, e capii che non potevo fuggire.
    Mi voltai verso i due, in modo da poter vedere le loro espressioni, cercare di capire il loro stato psicologico, nella speranza fossero più rilassati di me.
    Prima di andare, vorrei chiedervi di condividere informazioni quali innata, elementi e qualsiasi cosa reputiate utile ai fini di questa battaglia. Io posseggo lo sharingan, che sostanzialmente mi permette di vedere fonti di chakra, trasmettere i genjutsu tramite contatto visivo e prevedere l'attacco del nemico . I miei elementi sono katon e raiton. Sono esperta nei genjutsu, ed estremamente svantaggiata nel corpo a corpo. Posso evocare corvi.
    Parlai con fare sicuro, dando le informazioni sulle mie capacità in modo abbastanza sintetico e parlando velocemente nel tentativo di ottimizzare i tempi. Trovai curioso il mio bisogno di specificare le abilità connesse alla mia innata, senza dare per scontato che tutti debbano sapere sempre tutto.
    Avrei atteso le loro risposte, per poi prender nuovamente parola.
    Il punto d'incontro è stabilito in una zona che appartiene ancora alla fazione per la quale combattiamo, per cui prenderei la strada più breve che porta ad esso, senza preoccuparci di allungare attraverso strade secondarie.
    Fui inconsciamente attenta a non usare l'aggettivo possessivo "nostra" in riferimento alla fazione. Non era nostra, non mia.
  7. .
    L'attesa.
    Ricordo perfettamente l'attesa, l'aria che come cristallizzata pesava su Konoha.
    I sospetti, i silenzi, i volti spenti.
    Io e la madre di Deichi avevamo smesso di farci la guerra, in una tacita consapevolezza che qualcosa di più grosso si stava muovendo. Non sorridevo da molti giorni. Nessuno sorrideva da molti giorni.
    Molti uomini erano morti prima ancora di morire, e incontravi i loro cadaveri per le strade, zombie privi di emozioni che camminavano verso la morte.
    A breve avrei avuto la stessa espressione: ricordo quello come uno dei giorni più brutti della mia vita.
    Restavo spesso in camera mia a fissare il coprifronte, consapevole della chiamata alle armi alla quale avrei dovuto rispondere da lì a breve. Qualche sera, e mai lo avrei ammesso, ero solita pregare a divinità piuttosto dubbie affinché io non fossi chiamata a combattere, consapevole della futilità del mio gesto.
    La voce che rispose alle mie preghiere, tuttavia, non provenne da una divinità. Fu quella di Akira.
    "So che probabilmente hanno detto tante cose su i me, mi avranno chiamato traditore e codardo, tu ti sarai sentita abbandonata, ma almeno permettimi di dirti com'è andata davvero. Semplicemente ero stanco di essere totalmente infelice in un villaggio che non mi avrebbe dato nessun futuro, mi è stata messa davanti la possibilità di inseguire un vero e proprio sogno, qualcosa che finalmente mi avrebbe fatto sentire realizzato per una volta nella vita, e io l'ho colta. Mi dispiace, Kiria. Lasciarti è stata la decisione peggiore della mia vita e non passa giorno senza che me ne penta o che la tua mancanza non si faccia sentire, ti prego di perdonarmi se puoi. In ogni caso non importa cosa farai, cosa pensi di me o cosa succederà da qui in avanti; io ti amerò sempre più di qualunque altra cosa e questo non cambierà mai. Un giorno ci incontreremo e ti spiegherò tutto".
    Il mio sguardo cercò frenetico nella stanza la fonte della voce, nonostante sospettassi fortemente che Akira fosse lontano da me. Quando il sospetto tramutò in consapevolezza, impallidii visibilmente, sgranando gli occhi: mi aveva abbandonata.
    Mi avvicinai al letto, afferrando il cuscino con estrema lentezza, le mani tremanti che per un po' mi tradirono, rendendomi incapace di tenere l'oggetto che portai al volto, per poi premerlo violentemente contro il mio volto e soffocare un urlo.
    Mi aveva abbandonata.
    Una persona matura, una persona adulta avrebbe forse potuto cogliere la tristezza e il senso di quel messaggio, ma per una bambina quale io ero quella era la più squallida delle forme di abbandono.
    "Sì, piccola Uchiha, è stato tutto molto bello, ora però lasciami vivere".
    Ho sempre immaginato i legami umani come delle piante che mettono radici in noi. Più profondo è il legame, più a fondo penetrano le radici. Così, quando qualcuno ti abbandona, ti lascia un senso di vuoto causato dal venir meno di quelle radici: vuoto, instabilità, vertigini. Puoi perderti guardando nel nero di un'assenza, incapace di reagire.
    Cosa ne era di me?
    Quando allontanai il cuscino dal volto, gli occhi arrossati da lacrime che tuttavia non uscirono -per orgoglio, per volere- sentii la voce di Deichi supplicare e capii che, di nuovo, non avevo tempo per soffrire.
    Afferrai il coprifronte e lo indossai, per poi legare i lunghi capelli in una treccia.

    Deichi tenne lo sguardo basso mentre io lasciavo la casa accompagnata da un anbu.
    "Perdonami, fratello... non so se riuscirò a tornare".
    Cercai il suo sguardo disperatamente, ma era perso negli irregolari motivi del pavimento di legno, e la mano dell'anbu mi esortò a seguirlo, trascinando senza troppe difficoltà il corpo di una dodicenne che non era pronta.
    La porta si chiuse alle mie spalle, nel silenzio assoluto di mio fratello.
    Nessun addio, nessuna promessa di ritorno, nemmeno uno sguardo.
    Cosa ne sarebbe stato di lui? E di me?
    Nuove radici erano state strappate via, e di nuovo il vuoto.

    Ascoltai le parole dell'Hokage fissandola negli occhi, chiedendomi con quale assurdo coraggio una donna mandasse una dodicenne in guerra.
    Se avessi rinunciato, avrei disonorato la mia intera famiglia e con essa Deichi, e non potevo permettermelo. Un simile gesto, come ripeteva nostro padre, rende il ninja infimo, "più inutile di un morto". E allora ascoltai in silenzio alle informazioni su quanto dovessi fare, concretizzando quanto fossi una semplice bambola destinata a fini superiori e non potevo non chiedermi: di chi è questa guerra?
    A dodici anni i giochi di potere non li capisci.
    A dodici anni non capisci la guerra.
    Erano troppe le cose che avrei dovuto capire di lì a poco.

    Ed eccolo, un altro zombie che camminava verso la frontiera.
    Mi chiesi se Akira si fosse almeno salvato dal dover combattere, se fosse andato in qualche luogo pacifico; mi chiesi se Walter, con le sue manie di pacifismo avesse potuto fare qualcosa per estraniare Suna da quell'assurda guerra. Deichi... lui non era tipo da combattimento. Ero abbastanza sicura l'avrebbero usato per torturare le persone.
    E le altre persone che avevo incontrato? Se avessi dovuto uccidere qualcuno di loro?
    Quest'interrogativo accompagnò il tragitto che mi portò di fronte al mio compagno: era Rutja.
    Fu come rinascere. Una rinascita debole, fragile, ma che mi diede la forza di sorridere. Fu un sorriso strano, come frutto di un enorme sforzo, ma estremamente sentito.
    B-buongiorno, Kiria-san... come sta? Sembra cresciuta.
    Ben otto centimetri! Posso ancora sperare di superare il metro e settanta!
    Trovai la forza di ironizzare, ma poi il pensiero di vedere persone morte tornò ad invadere la mia mente, e subito mi sentii in colpa per la gioia provata.
    Non voglio uccidere, Rutja-sama...
    Fu una confessione spontanea, gli occhi che esprimevano un senso di supplica nel condividere un macigno che parve tuttavia alleggerirsi nel momento in cui il pensiero divenne parola, ma prima che l'omone potesse replicare in alcun modo ci raggiunse l'uomo che ci avrebbe portati da Hirozumo.
    Durante il viaggio nessuno parlò, e io non avevo voglia di rompere quel silenzio. Mi concentrai nuovamente sull'obiettivo, sul dovermi fingere grande e pronta.
    Quando raggiunsi l'uomo per il quale avrei dovuto combattere, l'estraneo per cui avrei dovuto uccidere, il mio volto era nuovamente impassibile.
    Lasciai fui Riutja a presentarsi per primo, per poi emulare la sua presentazione.
    Kiria Yami Uchiha, chuunin di Konoha.
  8. .
    Ehm ecco cioè vedi insomma è quando una persona è da... sola ecco da sola è un po' triste non sa cosa fare e... cosa fa.... ecco magari pensa a cose eticamente aliene alla cultura di uno shinobi ordinario come chessò compiere atti diciamo edonisti per il puro compiacimento personale invece che dedicare il proprio tempo agli altri come invece farebbe uno shinobi più consapevole della propria vita, ma non per cattiveria semplicemente perchè è stanco o pigro in quel momento e... oppure è di cattivo umore e non vuole vedere nessuno però potrebbe comunque...
    Kiria non capì.
    Ci provò, ci provò con tutta se stessa, ma proprio rimanevano un mistero quelle cose sozze. Doveva trattarsi di qualche pratica segreta che mettevano in atto shinobi di alto livello, ormai compiaciuti da se stessi e dall'aver raggiunto un certo livello a tal punto da ignorare il benessere altrui. Questi individui dimenticavano l'oneroso compito di servire terzi -addirittura per motivazioni effimere come la pigrizia o il cattivo umore- e si dedicavano solo al proprio compiacimento personale.
    Akira stava forse facendo le cose sozze?
    Non diede subito risposta a quella domanda, intenta com'era a riflettere sulla effettiva possibilità che Akira avesse accantonato terzi per il proprio compiacimento.
    Rimase dunque in silenzio anche quando Mai evocò una lumaca (era alquanto viscida, pensò, ma le preferiva ai serpenti) per guarire la ferita del ragazzo, con enorme sollievo dell'Uchiha.
    Non posso negare il mio aiuto a un così bel fustacchione. E perché è mezzo nudo? E Saruwatari dove l'hai messo? Lo diciamo sempre che te, Mai, sei così affascinante che ne hai uno per villaggio!
    Kiria fissò Mai: quindi era una sorta di fidanzata di Akira.
    Improvvisamente non era più così simpatica. Certo, era decisamente migliore delle fiamme di Deichi, ma era... insomma, era in un modo che non andava per niente bene ad Akira.
    Arrossì a quei pensieri e chinò il capo, intenta nuovamente a domandarsi se Akira fosse tipo da cose sozze.
    Oh, allora conosci Saruwatari e... a giudicare da come hai reagito direi che c'è qualcosa tra di voi, ho ragione?
    Akira, non si fanno queste domande ad una ragazza.
    Lo rimproverò prontamente, improvvisamente entusiasta all'idea che tra i due non ci fosse nient'altro che un'amicizia. E questo Sarucoso doveva sposarla questa ragazza, ora improvvisamente ritenuta di nuovo simpatica e affascinante ed energica.
    Stai tranquilla, dopotutto è normale, sono stato innamorato anche io, posso capire...
    "Sono stato". Passato.
    Non seppe dire perché, ma la notizia la rincuorava parecchio.
    Ora poteva interrogarsi nuovamente sulle cose sozze, cocciuta com'era nel trovare il significato dietro il discorso caotico della ragazza. Pensò innanzitutto alle "cose aliene alla cultura di uno shinobi ordinario": una simile dicitura non le suggeriva niente, sicché le risultava difficile dedurre una singola categoria di pensieri alieni alla cultura di uno shinobi ordinario; inoltre aveva solo dodici anni: come poteva comprendere cosa fosse ordinario?
    "Atti edonisti per il puro compiacimento personale".
    Non poteva trattarsi di masturbazione, altrimenti avrebbe semplicemente spiegato il tutto utilizzando quella parola. Doveva essere invece un concetto ben più ampio e di difficile comprensione, forse addirittura qualcosa di segreto.
    Ad ogni modo, era giunta ad un'unica conclusione: Akira non faceva cose sozze. Era suo compito, di conseguenza, difendere il sensei e chiarire il malinteso affinché non si pensasse di lui che fosse un individuo che passa giornate ad ignorare il benessere altrui per noia per dedicarsi al puro compiacimento personale.
    Avrebbe atteso il silenzio per parlare, perché mai avrebbe interrotto un adulto.
    Mai, io non credo Akira faccia le cose sozze: anche quando è stanco, ad esempio, ci vediamo nel nostro posto segreto per stare insieme. Le prime volte mi ha effettivamente fatto un po' male, ma questo non fa di lui una persona a cui non piace dedicare il proprio tempo agli altri. Anche prima era di cattivo umore, ma ci ha invitate a stare con lui: credi forse che una persona che faccia le cose sozze avrebbe interrotto per poi invitarci dentro?
    Spiegò, incredibilmente seria, parlando come se stesse esponendo fatti di estrema ovvietà.
    Sperava solo la reputazione di Akira fosse salva, e che non avesse fatto intuire che lei cosa fossero quelle cose sozze proprio non l'aveva capito.
  9. .
    Kiria non aveva mai visto Takumi, quindi ascoltò con il fiato sospeso i racconti di Mai, immaginando Takumi come una sorta di "piccola Konoha", pur non avendo certezze sulle dimensioni delle due città. Le piaceva quella ragazza, aveva un modo tutto suo di mettere a proprio agio le persone: l'Uchiha sentiva di poter dire qualsiasi cosa senza badare troppo alla forma o al contesto. Sentiva addirittura di poter fare un volo pindarico senza che Mai le destinasse un'occhiata di disapprovazione, e allora parlò molto anche lei durante il viaggio, spiegandole che dove viveva lei -in periferia- non passava nessuno se non per giungere proprio a casa sua.
    Una volta arrivate, Mai esitò prima di imbucare la lettera.
    Ti ringrazio per la gentilezza Kiria. Però posso anche fare a meno di imbucare la lettera, tanto lui c'è in casa.
    Kiria sorrise, visibilmente entusiasta: era una capacità che le piaceva sempre di più, poi fissò la ragazza mentre bussava energicamente alla porta, restando dietro di lei.
    Akira, lestofante nero! Sono Mai! Non fare finta di non esserci e smetti di fare le cose sozze!
    Kiria rise di gusto per quell'insolito "lestofante nero", portando le mani alla bocca come per celare quel suo insolito atteggiamento: non aveva mai riso così tanto, ma aggrottò le sopracciglia subito dopo: cose sozze?
    Akira era una persona pulitissima! Certo, probabilmente casa sua non aveva appena subito un trattamento con cera e forse era un po' in disordine, ma non a tal punto da meritare un simile rimprovero. Si chiese, a tal punto, se le cose sozze non facessero riferimento ad altro.
    Mai, cosa sono le cose sozze?
    Fissò la ragazza con i suoi grandi occhi dorati, in attesa di una risposta.
    Chiunque tu sia non ho tempo per le tue stronzate, dimmi cosa vuoi e va... Mai? Che diamine ci fai qua? Vieni qui, mostriciattolo.
    Kiria non riuscì a sopravvivere nel vedere le condizioni in cui era ridotto il suo sensei: sembrava visibilmente provato da notti insonni (e il suo volto ora era incredibilmente simile a quello di suo fratello), e aveva una brutta ferita sul petto. Rimase ferma mentre i due si abbracciavano, distogliendo lo sguardo in una sorta di forzoso rispetto della privacy, finché Akira non notò la sua presenza.
    Kiria, a quanto sembra hai avuto modo di conoscere Mai, no? Beh, questa è una delle poche amiche che mi sono rimaste... ma prego, entrate, non fate complimenti.
    Kiria accennò un sorriso non molto convincente, sicché non riusciva a non preoccuparsi per il ragazzo, per poi entrare nel monolocale. Non sapeva esistessero case così piccole: l'intero locale non equiparava il primo piano del luogo dove viveva, e nonostante ciò era decisamente più familiare di casa sua.
    Lasciò che fosse Mai la prima a sedersi, per poi prender posto dove fosse stato possibile.
    Come stai, Akira? Mi sembri... sofferente.
    Non riuscì ad aggiungere altro, così come non riusciva a non distogliere lo sguardo dalla brutta ferita che gli segnava il petto.
  10. .
    Welcome!

    CITAZIONE
    ps: lavoro dal lunedì al venerdì fino alle 17.00 e sono a casa per le 17.30 quindi sono disponibile o la sera o appunto per quell'orario.

    No problem, ultimamente posto dalle tre alle quatto del mattino e nessuno se ne lamenta :giangi:

    Comunque, attento agli estranei -quasi tutti hanno problemi mentali di sorta-, ai ninja con gli occhiali (un incontro con loro potrebbe comportare la scomparsa anche in real) e ai gatti. Soprattutto ai gatti. :sasa:
  11. .
    «Credo che entrambi abbiamo conosciuto già abbastanza dolore in passato... forse è ora di cercare un altro insegnante. Accetto di allenarmi con lei, non di farle del male. E lei cerchi di dare il massimo, è solo così che si apprendono cose degne di essere apprese...».
    Inizialmente le parole del ragazzo furono intese come un rimprovero –forse non aveva capito l’ironia dietro le sue parole?
    In effetti, si trovò a dover constatare che non era molto brava nell’approcciare a terzi in modo diverso da quello meramente formale, quindi girò su se stessa le colpe di un rimprovero. Era ancora alle prese sulle sue incapacità ironiche quando Rutja si offrì di pagare da bere; anche in quel caso, si scoprì tremendamente impreparata nel rispondere: accettare con estrema disinvoltura le pareva cosa frivola (perché era lui ad offrire e non lei?), ma al contempo il rifiuto di una simile offerta sembrava cosa estremamente maleducata.
    Restò in silenzio per alcuni secondi, interdetta, maledicendosi per aver preso un secondo bicchiere di latte, aggravando le spese dell’uomo, poi annuì sussurrando un “grazie” appena percettibile, ripromettendosi che al loro secondo incontro avrebbe pagato lei, costringendolo ad un secondo bicchiere di latte per equiparare le spese.
    «Le posso fare strada?».
    Annuì sorridendo, per poi alzarsi e seguire i passi del giovane; la loro uscita dal locale fu accompagnata da sguardi maligni e commenti perversi a tal punto che Kiria stessa aveva difficoltà nel comprendere il significato di alcune delle cose che, secondo gli ubriaconi della locanda, i due avrebbero fatto insieme, e tuttavia decise che c'erano parole sul cui significato era meglio non indagare. Qualcuno aveva addirittura azzardato, senza curarsi del tono di voce, l’ipotesi che Kiria fosse una di quelle “prostitute bambine che mantengono i genitori”, e dovette trattenere una risata nel sentire quanto audace fosse la fantasia di certi uomini.
    Su un punto, tuttavia, avevano ragione: stava effettivamente seguendo in un luogo più appartato uno sconosciuto che aveva ammesso senza troppi giri di parole di aver ucciso suo fratello e compiuto altri crimini per sopravvivere? Non il massimo della prudenza, e sicuramente non era qualcosa che suo fratello maggiore avrebbe approvato, e tuttavia lo stesso avrebbe dovuto evitare di lasciarla da sola se avesse tenuto alla sua incolumità.
    Non stava facendo nulla di male, in fondo: stava solo seguendo uno sconosciuto dai poteri sconosciuti in un luogo a lei sconosciuto per allenarsi insieme come facevano due normali sconosciuti.
    Seguì Rutja in silenzio lungo un sentiero che prendeva vita oltre la collina, delineato da massicci alberi che ricordavano all’Uchiha la distesa verde presente oltre le mura di Konoha. Un suono, perfettamente distinguibile, faceva da sottofondo ai loro passi: lo scrosciante fruire dell’acqua, proveniente da più direzioni a tal punto che parevano esser circondati da cascate –e, per quanto Kiria ne sapesse, poteva esser così.
    Non ci volle molto affinché i due raggiungessero una radura ampia non più di venti metri, delineata ad ovest da uno specchio d’acqua profondo meno di un metro e mezzo, oltre il quale un lembo di terra portava ad altri sentieri le cui condizioni lasciavano supporre che esseri umani non vi passavano da tempo.
    «Siamo arrivati?».
    Provò una leggera sensazione di ansia, ora che doveva effettivamente mostrare le sue capacità a Rutja. Una volta avuta conferma che la radura di cui le aveva parlato era effettivamente quella, si sarebbe allontanata dal ragazzo (perché non era prudente restare vicino ad una persona con una moltitudine di braccia se si ha la resistenza di un ramoscello) di sette metri, per poi trarre un profondo sospiro.
    «Sono pronta» avrebbe detto a voce abbastanza alta da farsi sentire, per poi affidare al proprio avversario l'onere della prima mossa.


    Ritardo? Quale ritardo?
  12. .
    Espongo la mia opinione a riguardo (in ritardo).

    Innanzitutto, va specificato che scrivere un (buon) libro richiedere la creazione di più personaggi che interagiscano tra di loro e che abbiano un proprio spessore. Sotto questo punto di vista, ruolare bene non implica maturi la capacità di creare vicende che interessino più personaggi.
    Per quanto riguarda le possibilità di migliorare la propria grammatica, questa possibilità rimanda direttamente alla capacità dei qm, che vanno a ricoprire il compito di veri e propri "insegnati". Si rimanda anche alla voglia di colui che è stato corretto di applicare quella correzione nei futuri post. Va da sé che se i qm non si dimostrano all'altezza del ruolo, anche questa possibilità viene meno.
    Opinione personale è che scrivere migliora la scrittura sempre, a priori dal contesto: in particolare, i gdr permettono di leggere e confrontarsi con terzi, sviluppando anche doti narrative frutto della "fusione" di più stili.

    In sintesi:
    i gdr migliorano la scrittura?
    Sì, sotto due condizioni:
    -presenza di qm con adeguate conoscenze della lingua italiana;
    - ricezione dei feedback.
    Scrivere un gdr facilita l'approccio alla scrittura di un libro?
    Assolutamente no: Apples and oranges.
  13. .
    L'importante era non riuscirci.
    La frase di per sé godeva di un paradosso tutto suo, ma era estremamente soddisfatta di non aver dato fuoco neppure ad un capello di Walter, di aver fallito.
    Walter aspettò educatamente che Kiria fosse pronta per difendersi, poi, quasi a voler irrisoriamente unire i due desideri dell'Uchiha, compose alcuni sigilli che portarono all'evocazione di un gigantesco drago d'acqua, che possente si rivelò dal lago per poi affiancare Walter.
    Fissò l'imponente creatura ghiacciarsi, sentendosi ancor più minuta al cospetto di una così grande evocazione (o creazione? Era uscito dall'acqua, dopotutto). Ad ogni modo, all'iniziale paura, che spavalda le dipinse il volto costringendola ad aprire la bocca, in un misto di mero terrore e stupore, si affiancò un forte senso di soddisfazione: era contenta di esser presa sul serio da Walter, nonostante la certezza di non poter competere con lui.
    Il ruggito minaccioso del drago echeggiò nella testa di Kiria, andando nuovamente a risanare quella paura che stava accantonandosi per lasciar spazio ad altre sensazioni, prima che l'Uchiha potesse realizzare che il drago aveva ruggito senza tuttavia alitare: non vi era stato un vento caldo e di morte a scuoterle i capelli, non vi erano stati fili d'erba a danzare per il ruggito, solo delle fauci spalancate e il tremendo rumore che ancora vibrava in lei.
    Quindi non aveva effettivamente ruggito? Le aspettative sull'esser presa sul serio scemarono d'improvviso, ma la paura permase sul volto della ragazzina, in una farsa estremamente credibile.
    Non avrebbe mai appreso nulla da quello scontro se Walter l'avesse trattata come qualcosa da spaventare piuttosto che qualcuno da ferire. Era disposta a tornare a casa ricoperta di sangue, bendata dalla testa ai piedi e perfino in stato incosciente, ma voleva migliorarsi, doveva migliorarsi e un finto drago (perché se non ruggisce non è un drago vero e questo è risaputo) con un finto ruggito non avrebbe portato certo a questo. Perfino suo fratello maggiore Deichi, che mai l'avrebbe ferita, era disposto a sottoporla a durissime illusioni in un allenamento se il fine era una miglioria di sorta.
    Adesso, Walter le sembrava addirittura distratto, come se la sua presenza lì fosse passata totalmente in secondo piano, in un atteggiamento che offese l'Uchiha: come poteva trattarla in quel modo?
    Sicuramente non era all'altezza, e sicuramente non lo sarebbe stata nel breve periodo, ma considerava quel comportamento una grave mancanza di rispetto nei suoi confronti.
    Spalancò un altro poco la bocca, mantenendo l'aspetto terrorizzato che l'aveva caratterizzata fino a quel momento. Tuttavia, conseguenza di tale gesto sarebbe stato un fulmine che non avrebbe mirato al drago, bensì a Walter stesso, nella speranza di approfittare della distrazione inspiegata del ragazzo.

    CITAZIONE
    Arte del Fulmine: Falsa oscurità (Raiton: Gian)
    Tipo: Ninjutsu
    Si tratta di una versione più potente delle saette volanti, creata da un folle. La sadicità di questa tecnica deriva dal fatto che è un colpo imprevedibile dovuto alla mancanza di sigilli e all'esecuzione in sé inaspettata.
    L'utilizzatore spalanca la bocca e manda contro l'avversario un potente fulmine a sorpresa. Schivare la tecnica è molto difficile, ma può essere contrastata efficacemente con tecniche elettriche o di vento.
    [Il fulmine scompare dopo 20 metri di percorso]
    [Il fulmine infligge danni moderati/gravi su tutto il corpo]
    [Il fulmine perfora gli oggetti di Legno]
    [Il fulmine può essere contrastato da Raiton e Fuuton di livello B o più]
    [La velocità del fulmine è "velocità utilizzatore" +10]
    Consumo: 60
    falsa-oscurita

    Non mi tratti come una bambina, Walter.
    L'avrebbe detto a priori dal risultato della sua offensiva, in un tono che sapeva di delusione e di accuse. Si era già dichiarata disposta a farsi male, quindi sperava che alla prossima offensiva venisse quantomeno presa sul serio.


    ---
    Kiria Yami Uchiha
    STATS/ARMIJUTSU/CHAKRASTATO/FERITE
    LIVELLO:
    Forza:
    Resistenza:
    Velocità:
    Agilità:
    Precisione:
    Riflessi:
    10
    30
    26
    39
    39
    37
    37

    Post:
    //
    (in caso di combattimento con conteggio di post limitati)

    Potenziamenti:
    (eventuali benefici conferiti dalle innate o dalle specializzazioni)
    Specializzazioni:
    -Genjutsu lv. 7

    Armi:
    10 shuriken
    10 kunai
    filo nylon x5mt
    420/480
    -Arte del Fulmine: Falsa oscurità
    (Tra parentesi significa che la tecnica al suo interno è stata utilizzata in uno dei turni precedenti e non in quello del suddetto post.)
    Ferite:
    //

    Stato Fisico:
    ok(85% di chakra)
    (questo indica la condizione fisica del PG che può cambiare in seguito all'uso del chakra:
    -20% del chakra -> Leggermente Stanco
    -40% del chakra -> Stanco
    -60% del chakra -> Molto Stanco
    -80% del chakra -> Esausto
    -100% del chakra -> Morto

    Prendete una calcolatrice e fate i vostri calcoli!)

    Stato Mentale:

    -offesa;
    -concetrata

    (la situazione mentale del PG)

  14. .
    Grazie; adoro l'acqua, nel deserto è qualcosa di raro e prezioso mentre qui ce ne è in abbondanza, inoltre lo trovo un posto molto rilassante. Non so, forse ti sembrerò strano ma mi piace veramente il rumore dell'acqua di una cascata... o della pioggia che cade... insomma, credo si capisca quanto mi piaccia questo elemento; eppure, nonostante tutto, mi è veramente ostico usarlo in tecniche ninja. Trovo piuttosto ironico che l'Acqua, una delle cose che più mi piacciono e che riesco a manipolare tanto bene, sia il mio elemento debole in quanto a ninjutsu.
    Walter era il solito Walter e questo secondo Kiria non sarebbe mai cambiato.
    Sorrise al suo modo di parlare, alla disinvoltura con la quale raccontava le proprie passioni e dei propri limiti. Certo, la sua interlocutrice era Kiria Yami Uchiha, che al massimo avrebbe scritto del loro incontro nel diario, senza poter mai rappresentare una minaccia neanche se le fosse stato confessato la più segreta delle debolezze.
    Ad ogni modo, lo ammirava. Era davvero incapace di parlare così a lungo di qualcosa che la appassionava (il solo cercare qualcosa che la appassionasse così tanto, a dire il vero, era fonte di ulteriori fisime), così come era incapace di parlare dei propri limiti con la stessa disinvoltura, come un qualcosa con cui coesistere piuttosto che un muro contro il quale sbattere la testa ogni volta.
    Rispose educatamente al sorriso, trovandosi incredibilmente naturale in un'espressione che oramai stava sopendosi nuovamente nella sua vita. Con Akira la sua vita sembrava aver preso una piega migliore, prima che arrivasse lei. Walter, da questo punto di vista, era esattamente come il proprio allievo: riusciva a tenere la sua mente occupata. Scoprendosi così propensa a pensar bene di quello che restava uno sconosciuto, si chiese se non fosse di nuovo sotto l'effetto di quella strana illusione che rendeva Walter così mitico.
    La risposta era ovviamente negativa -se ne sarebbe accorta, aveva gli strumenti per farlo ora- e allora si chiese se non si fosse trattato di un'illusione più potente, perché le era stata inculcata la diffidenza e non poteva esser così vulnerabile.
    Non aveva tempo per concentrarsi alla ricerca di flussi di chakra scomposti o errori in un'eventuale realtà distorta. Più tardi, avrebbe realizzato di non averne neppure il bisogno.
    Però non ti ho invitata fino a qui per parlare di me o del paesaggio, sono qui per delle scuse ufficiali. Durante il nostro primo incontro mi sono comportato in un modo veramente orribile, era stata una brutta giornata per me ma comunque non ho scuse per quello che ho fatto, non avrei dovuto tentare di pietrificarti. Quindi sono disposto a trovare un modo per farmi perdonare! Potrei farti un altra scultura di ghiaccio, ho imparato a fare in modo che non si sciolgano mai e sono molto più dettagliate della mia prima creazione; oppure potrei allenarti per insegnarti qualcosa in modo da stupire Akira con una nuova tecnica, ne conosco veramente tante. O anche entrambe le cose, dimmi tu!
    Lasciò per educazione che terminasse di parlare, seppur il suo stupore era visibile nelle espressioni incuriosite e scettiche che di volta in volta il volto assumeva.
    Io ho provato a darle fuoco.
    Scandì inconsciamente le parole, in un sincero tentativo di riportare alla memoria del ninja di Suna l'effettivo tentativo dell'Uchiha di dar fuoco al proprio avversario -perché se non avesse avuto modi di difendersi si sarebbe trovata a colloquiare con una persona totalmente irriconoscibile.
    "Walter però ha provato a pietrificarti" si suggerì prontamente, in un infantile tentativo di avere ragione, e prontamente realizzò di quanto fosse fragile quel tentativo: non aveva scuse per quanto fatto, e il semplice ricordo rianimava in lei sensi di colpa.
    Si ricordò poi di Hakuryu, che ormai giaceva semiliquido in una ciotolina: lei non voleva un altro draghetto di ghiaccio, voleva il suo Hakuryu che durasse potenzialmente in eterno. Di conseguenza, si pentì di non averlo portato con sé, perché mai avrebbe permesso ad una persona a lei cara (poteva esserle cara una persona conosciuta da poco?) di avvicinarsi a casa sua. Tuttavia... un altro draghetto di ghiaccio, cosa poteva desiderare di più?
    Per la scultura morente, avrebbe conservato l'acqua e gli avrebbe chiesto di fargliene una nuova con quella materia prima in un secondo momento.
    Poi c'era la seconda opportunità: migliorare se stessa per stupire Akira.
    Era da molto che non aveva modo di confrontarsi con il proprio maestro, e conservava la consapevolezza che a nulla sarebbe servito. Con l'aiuto del maestro del maestro, invece, avrebbe potuto compier progressi e stupire entrambi!
    Rifletté sul trade-off drago-di-ghiaccio/allenamento finché realizzò che, effettivamente, non vi era nessun trade-off.
    Entrambe le cose, Walter-sa... sa che Hakuryu si sta sciogliendo?
    Giusto in tempo. Si era corretta giusto in tempo. In modo palese, ma almeno non aveva infastidito in alcun modo una persona così disponibile. Continuò a parlare, come nella convinzione che se avesse detto altro, Walter non avrebbe notato quel "sama" che stava trovando posto tra le sue parole.
    Sarei davvero onorata di allenarmi con lei, e sarei onorata di avere un nuovo drago di ghiaccio. Ho bisogno di imparare a difendermi, quindi sarebbe carino attaccarmi.
    "Sarebbe carino attaccarmi? Questa da dove ti è uscita?!" si ammonì nuovamente e, resasi conto della totale mancanza di senso logico della frase, si voltò paonazza, per distanziare da Walter circa sette metri. Si posizionò in modo da esser dal lato opposto al lago con la cascata: manipolava l'acqua, e aveva fatto fin troppe cose stupide sino a quel momento.
  15. .
    CITAZIONE
    se la cosa passa Drey diventerà il primo ninja muto della storia di ng

    "Il gatto ti ha mangiato la lingua?"
25 replies since 24/6/2013
.
UP